Un nuovo post sui parchi di divertimento
Intervista a Giulio Beranek, l’esperienza di attore, l’infanzia nel luna park e il progetto I Dritti – Gente del Viaggio
Un Blog sui Parchi Divertimento
Abbiamo già parlato in questo articolo del progetto di film documentario I Dritti – Gente del Viaggio, e del crowdfunding per finanziare una parte dei costi. Giulio Beranek, che con il regista Emanuele Tammaro ha firmato il progetto, ci racconta le motivazioni che lo hanno spinto a realizzare l’opera, della sua storia personale, che si sviluppa nel contesto del luna park, e della sua esperienza professionale:
– Un attore affermato, che è nato nel Viaggio. Cosa può imparare un artista dal mondo del luna park?
Grazie dell’aggettivo “Affermato”! Mi lusinga. Meglio dire “attore che spera, come tutti, di affermarsi”. Il cammino è lungo è duro. Per il momento mi auguro di recitare con continuità e con registi bravi che prendono il meglio da me come per fortuna mi è sempre capitato.
Il Parco è stato il mio “centro sperimentale”, la mia scuola di recitazione.
In un fazzoletto di terra ogni settimana mettevamo su il nostro paese come una grande scenografia cinematografica e, come fa l’attore con i personaggi che deve interpretare, ogni sera dovevo un po’ cambiare atteggiamento, cambiare anche il modo di vestire e di parlare, per integrarmi con i ragazzini della mia età, pena una inevitabile distanza, occhiatacce, dispetti. Questa è stata la mia vita, una casa che, come uno zaino, ti metti sulle spalle e vai…. e se la tua casa, il tuo zaino, era una carovana di tredici metri nessuno ti veniva a dire “ecco so arrivati gli zingari” ma noi vivevamo in quattro in una roulotte di 8,50 x 3, l’impatto era decisamente diverso.
In ogni caso, credo che questo girare, conoscere persone diverse, stare in contatto con tutti i tipi di gente e riuscire spesso a mischiarsi con loro, sia stato fondamentale per quello che poi è diventato il mio lavoro. Mi ha fornito un bagaglio personale impressionante che solo in questa fase della mia vita sto elaborando con una certa lucidità.
– Il progetto “I Dritti, Gente del Viaggio” è nato da una esigenza di creare un documento sulla vita dello spettacolo viaggiante?
Il progetto del documentario nasce da un’idea in comune che avevamo io e il regista Emanuele Tammaro, conosciuto sul set di Marpiccolo; racconta in forma corale la vera storia dei Dritti, gli Esercenti dello Spettacolo Viaggiante o come si suole chiamarli “giostrai” in una accezione che ritengo sbagliata, offensiva. Si racconterà il dietro le quinte della loro vita, cosa succede dopo il lavoro nei Luna Park ma anche si parlerà anche di come si sono trasformati i loro modi di fare nel tempo e dei loro sforzi che ogni giorno fanno per mantenere viva questa antica tradizione che fa sognare bambini e adulti nonostante sia in atto un triste declino pieno di difficoltà.
E’ un racconto corale dove forse ho anche sublimato una mia profonda esigenza di raccontare e raccontarmi, più che altro per capire, perché anche se continuo insieme alla mia famiglia ad avere le giostre e mantenere la mia roulotte, comunque, a causa del mio lavoro mi sono trasferito, mi sono fermato, ho iniziato a vivere diviso tra una casa di mattoni e una roulotte.
Quello che ho provato nei primi periodi, chiuso tra il cemento, non lo auguro a nessuno. Dentro di me è scattato una sorte di cortocircuito. L’aria che mi mancava, mi sentivo spaesato e triste.
L’abitudine alle pareti sottili, che non mi isolava da ciò che accadeva all’esterno, è una cosa difficile da dimenticare. La mia roulotte al vento respirava forte come un grosso animale, la pioggia creava un ritmo dolce e consolatorio o invece diventava come una scarica di proiettili di un plotone marziale. I suoni quindi sono diventati e sono tutt’ora come degli amici, mi raccontano storie che prendono vita nella immaginazione e ad ogni spostamento, in ogni stagione, bellissime o inquietanti, hanno accompagnato la mia vita e adesso tra le quattro mura mi sento lontano, come in una campana di vetro, protetto ma solo.
Credo che pochi mi capiscano. I “Dritti” sicuramente. In fondo il documentario, attraverso un racconto corale, vuole raccontare proprio come si vive, cosa si sente, cosa si è costretti a subire, come sia quindi bello e allo stesso tempo difficile e complesso vivere da esercente dello spettacolo viaggiante.
-“Giostrai”, una parola che trovo bellissima, ma che i media utilizzano ormai per qualificare qualsiasi persona che viva in modo itinerante. A te non piace, perché?
L’ho scritto nelle note della nostra presentazione: La parola giostrai per me è un’offesa. Noi siamo esercenti dello spettacolo viaggiante o al massimo Dritti. Ricordo le arrabbiature dei miei zii ogni qualvolta sentivano usare questa parola. Quella dei giostrai è diventata una categoria dentro la quale si denomina tutto e tutti, i buoni e cattivi. I media hanno contribuito a confondere le cose operando una sineddoche, scambiando la qualifica professionale con la qualità umana di chi magari dietro le giostre ci nascondeva loschi affari. La vita di strada in fondo è come tutte le altre. Ci sono anche da noi chi sceglie le scorciatoie per il denaro facile o la vita ai margini della legalità. Piano piano però, soprattutto nell’opinione pubblica, l’accezione negativa ha preso il sopravvento ed è come se dietro quella parola si nascondessero i furbi, quelli che vogliono fregare, di cui non ci si può fidare mai, tanto “oggi sono qui e domani chissà dove”. E i media, non hanno fatto che avallare questo modus pensandi. A nessuno piace essere omologato, soprattutto in una categoria ambigua o poco edificante ma “Noi siamo onesti esercenti dello spettacolo viaggiante!” ripeteva sempre mio nonno.
Sulle piazze, paghiamo il suolo pubblico. Abbiamo a che fare con tutti i tipi di gente. Ma ci chiamano giostrai. Siamo quelli “furbi”, quelli che pagano l’elettricità, l’acqua e gli operai per una festa patronale, nella quale, alla fine, se piove torneranno a casa senza l’incasso. Quelli che non possono dire di no a chi porta la divisa o al piccolo boss del quartiere altrimenti sono dolori, perché il mestiere, “la giostra” è tutto quello che hai, ed è meglio stare tranquilli, perché la vita di strada è così e non come si vede in televisione o legge sui giornali. Per noi, nella maggior parte dei casi, la tranquillità ha la forma di un cartoncino rettangolare con su scritto “Omaggio”.
– Il Luna Park da una parte è un evento atteso in molte località, prive di altre forme di aggregazione, dall’altra vive un po’ la difficoltà a modernizzarsi, non solo per le attrazioni, ma anche sul piano della manifestazione. Come vedi il futuro di questa attività?
Una giostra ultra moderna da sola non crea il Luna Park perfetto, pieno di gente e partecipazione. Continuo a pensare che organizzare tornei di Piantachiodi sarebbe più efficace. Ma piuttosto credo che la questione sia più profonda.
Il Luna Park non si evolve perché è ingabbiato dalle grandi e piccole scelte alle quali, spesso nostro malgrado, siamo chiamati a rispondere. Partendo dalle complicazioni di carattere burocratico (vedi il decentramento dai centri cittadini ai quali siamo costretti nelle piazze delle nostre città) e arrivando all’abbrutimento sociale (che ho descritto prima) e che affrontiamo direttamente, lavorando in strada, con crescente ansia. Entrambe queste complicazioni finiscono per influire sulla buona riuscita del nostro lavoro. Non si evolve perché diventa molto stringente il nostro codice interno di autoregolamentazione di cui ti dico dopo. Non si evolve per questioni di mera sopravvivenza alle circostanze storico economiche che viviamo. Circostanze che hanno portato le famiglie che animano i Luna Park a crearsi un piccolo circolo virtuoso sempre uguale a se stesso: Le stesse feste, lo stesso giro, le stesse persone, le stesse difficoltà, le stesse soluzioni. Un modo di fare che ha stabilizzato le famiglie spingendole a creare una pianificazione del proprio lavoro molto più scientifico dove il rischio è ben calcolato. Snaturando così l’essenza del loro spirito. Ci si muove di meno, si viaggia di meno, si tende a dare una continuità agli studi dei figli, si accetta facilmente di cambiare spesso lavoro, di cercarlo fuori dal mondo delle giostre.
Ripeto, sono circostanze storiche molto particolari e il nostro settore ne ha risentito subito perché le famiglie dei Gaggi, quelli che in fondo ci fanno lavorare, quando sono in difficoltà preferiscono il pane al giro sul Tagadà ed anche giusto così. Da noi non vengono le famiglie ricche a divertirsi ma la classe medio bassa che un giorno ha i soldi per il cinema, il divertimento e l’altro forse lo ha a stento per sopravvivere. E quindi riunire le famiglie è diventato complicato, I Luna Park quindi sono forse troppo monotoni, sempre più piccoli e lo spirito d’iniziativa viene a mancare.
Alla mia generazione lo hanno insegnato da piccoli che lo spostamento fa parte del nostro DNA, lo abbiamo visto, imparato, emulato. Ma ai nostri figli che ci vedono fare altri mestieri, entrare nelle case di mattone, cosa passeremo? Quale esempio stiamo dando?
Non parlo per tutti, ci mancherebbe, ma nel mio piccolo respiro un lento disgregamento. Con questo lavoro, il nostro film documentario, vogliamo ricominciare dal grado zero. Dalla memoria. Non quella storica fine a se stessa. Vogliamo ricordare chi sono stati e chi sono I Dritti, smuovere l’orgoglio innanzitutto per muovere ancora una volta le ruote delle nostre carovane, le ruote che sono come le branchie per I pesci, fermate le ruote e ci toglierete il respiro.
Forse tutto questo voglio ricordarlo innanzitutto a me stesso.
Vorrei anche dire questo: Il nostro documentario si schiera a difesa del rispetto della Legge 337/1968 che dovrebbe tutelare il lavoro e anche i diritti basilari della vita quotidiana dei Dritti. Ma non è così. Abbiamo messo un cartello sui nostri materiali video che recita così: I Dritti promuove il ritorno dei Luna Park al centro della vita sociale dei nostri paesi e delle nostre città. Sostiene la lotta contro il decentramento nelle periferie non adeguatamente strutturate per l’accoglienza delle attrazioni, delle carovane e delle famiglie degli Esercenti dello Spettacolo Viaggiante. E’ una speranza, un desiderio. Solo così il parco tornerà ad essere Parco.
Chi è Giulio Beranek
Giulio Beranek, nato nello spettacolo viaggiante, si avvicina al calcio entrando a 13 anni nel settore giovanile dell’Olympiakos. Diviene attore quasi per caso, scovato durante un casting nelle scuole quando il regista Alessandro di Robilant cerca il protagonista per “Marpiccolo”, film che nel 2009 rappresentail suo esordio cinematografico. Nel 2011 torna nuovamente sul grande schermo, interpretando Marcellino nel film “Senza arte né parte” di Giovanni Albanese. Prende parte a diverse serie tv, quali quelle Mediaset “Distretto di Polizia” e “Le mani dentro la città” e quelle Rai con “Tutta la musica del cuore”, girata nel 2010 e trasmessa nel 2013. E’ apparso nel film noir “L’innocenza di Clara” di Toni D’Angelone (2012). Nel 2015 ha inoltre lavorato con Matteo Garrone per la realizzazione del recentissimo film “Il racconto dei racconti – Tale of Tales” .
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